Il Conte di Caiazzo

Una diversa interpretazione

 

Nell'ambito della "Edizione Nazionale delle Opere di Pietro Aretino", è stato pubblicato nel corso del 2002, per i tipi della Salerno Editrice di Roma, "Lettere - Libro VI", a cura di Paolo Procaccioli.

Tra le altre ritroviamo, al n. 346, la lettera "Al conte di Caiazzo", con incipit "Io, Signor Iulio (che riverisco", scritta "Di Genaio in Venezia, MCLIIII". In quella si raccomanda al destinatario un soldato "Luchese", tal "Ossi M. Francesco". Nel miglior spirito, per quanto invecchiato, dell'Aretino, preliminarmente all'oggetto della raccomandazione, vengono toccate quelle corde che, in qualche modo, possono intenerire l'interlocutore, sentimenti privati e ricordi di famiglia: "ma in ciò mi sforza il tener per fermo che sì come mi ebbe a core e il vostro gran Padre, e il suo tremendo zio, e il di voi suocero invitto (la cui memoria è d'Italia ornamento, e de la milizia sostegno), né più né meno dee avermi in grazia quel loro genero, parente, e figliuolo, che gli imita in tutte le cose che apportano al nome e a l'opre grado di onore e di laude".

Il curatore dell'opera, Paolo Procaccioli, afferma trattarsi - destinatario della lettera - di Ercole de' Rossi, come è specificato nell'indice dei destinatari. Conseguentemente - argomenta il Procaccioli nell'indice dei nomi - "il vostro gran Padre" è Giulio (precisione onomastica vorrebbe "Giulio Cesare"); "il suo tremendo zio" è Pier Maria de' Rossi conte di San Secondo; "il di voi suocero invitto" è Fabio Carafa, padre di Faustina, la moglie dello stesso Ercole.

Così interpreta Paolo Procaccioli, non rispettando – a mio avviso – veridicità storica e tempi. Egli parte dal presupposto che il conte di Caiazzo, che Pietro Aretino chiama inequivocabilmente "Iulio", debba essere il figlio di questi, Ercole! Un Ercole che non può, in quel preciso momento storico, il gennaio 1554, essere il "conte di Caiazzo" per un motivo molto semplice: "Iulio", Giulio Cesare de' Rossi, quando Pietro Aretino gli scrive, "Di Genaio in Venezia, MCLIIII", è vivo e vegeto, e solo lui è l'unico e vero "conte di Caiazzo", sino alla notte fra il 5 ed il 6 di aprile di quel medesimo anno 1554, quando moriva ammazzato nell'Abbazia di Chiaravalle della Colomba nel Piacentino, assassinato dai sicari del duca di Parma Ottavio Farnese.

Altra questione. Il "suo tremendo zio" non va riferito al destinatario della lettera, bensì al di lui "gran Padre". Il destinatario è sempre apostrofato in seconda persona, plurale maiestatico "voi". Mi pare che il brusco passaggio alla terza persona singolare correli fra loro i parenti.

A questo punto o si inficiano la veridicità della data della lettera (il gennaio 1554) ed il nome del destinatario ("Iulio"), oppure devono rivedersi le conclusioni intorno alla giuste identificazioni dei personaggi di grande valore affettivo e di grande fama per chi scrive, Pietro Aretino, e per chi legge, il conte di Caiazzo.

L'errore, se così lo vogliamo chiamare, del Procaccioli potrebbe essere stato indotto dalla ostinata ricerca di una logica relazione degli attributi di parentela che l'Aretino volutamente confonde o di fatto ignora.

Perché mai Pietro Aretino dovrebbe eleggere Pier Maria de' Rossi conte di San Secondo "gran Padre" e non fratello di "Iulio", entrambi figli di Troilo I e di Bianca Riario, la primogenita di Caterina Sforza? L'età dovrebbe verosimilmente giustificare l'affermazione del "flagello dei prìncipi". Ad un Pier Maria, nato non più tardi del 1503 (cfr Elogia virorum rosciorum, voce PETRUS MARIA II), si giustappone un Giulio Cesare nato nel 1519 e, per di più, rimasto orfano, in tenerissima età, nel 1521. Pier Maria, prendendo il potere alla morte del padre, considerava, come ognuno di noi considererebbe, Giulio Cesare, di soli due anni, più che fratello, figlio, da assistere ed allevare nell'arte militare. Un appellativo impropriamente usato, ma di sicuro effetto umano e personale.

Conseguentemente, rapportando il "vostro gran Padre" al "suo tremendo zio", si può, a buona ragione, affermare trattarsi del grande condottiero Giovanni de' Medici detto delle Bande Nere, il "gran diavolo", che, del resto,  viene definito "tremendo", da Pietro Aretino, non in questa lettera soltanto. Anche in altre, e dello stesso Libro VI, per non andare troppo lontano: nella n. 122 del giugno 1552 "Al Duca di Fiorenza" per l'azione del quale "si compiacerà quella tremenda e ammiranda memoria preferita al vostro immortal genitore" oppure nella n. 333 del dicembre 1553 "Al Magnifico Emo", quando Cosimo de' Medici "principe inclito" viene meglio specificato "del tremendo Signor Giovanni figliuolo".

Ovvio che, se "Iulio" è Giulio Cesare e non Ercole, il "suocero invitto" non può che essere Roberto Ambrogio Sanseverino, comandante militare dell'entourage mediceo-rossiano, morto a Busseto nel marzo del 1532, padre di Maddalena, rapita in Venezia e sposata nel 1539. Dalla loro unione nasceva Ercole, nel 1554 adolescente e ben difficilmente "interlocutore privilegiato" del flagello dei principi.

Allo stesso modo la "grandezza" di Pier Maria de' Rossi è acclarata: per tutto valga il conferimento del collare di San Michele da parte del re Francesco I di Francia, come ben testimoniato dal tredicesimo quadro delle "gesta" nella omonima sala di San Secondo, avvenimento che lo stesso Pietro Aretino ricorda ne "Le carte parlanti". Di contro il conte di Caiazzo Giulio Cesare, per quanto considerato "capostipite del ramo dei Rossi di Napoli", può vantare un carattere oltremodo rissoso e temerario, evidenziato nel ratto della moglie e l'occupazione di Colorno, che valsero, a lui ed a tutto il casato dei Rossi, il feroce ostracismo del pontefice Paolo III, senza contare le infinite disgrazie che a lui ed ai discendenti toccarono nel reame di Napoli.  

Giovanni delle Bande Nere, Pier Maria de' Rossi, Roberto Ambrogio Sanseverino sono, pertanto, a pieno titolo, e ancor di più per Pietro Aretino e Giulio Cesare de' Rossi, tre personaggi "la cui memoria è d'Italia ornamento, e de la milizia sostegno"!

 

Pier Luigi Poldi Allaj
Rev. 18.06.2014 


 

Appendice I - Pietro Aretino - Lettere - Libro VI - 346
AL CONTE DI GAIAZZO. - Io, Signor Iulio (che riverisco la valentigia, la quale con il cauto de la prudenza di continuo vi essercita l'animo de la senile gioventudine in le armi), non piglio ardire di scrivervi per parer d'esser degno che fino a i personaggi che non mi hanno in mente, leggano le mie lettre, e le mie richieste adempiscano (che invero l'arroganza, la prosunzione, e la vanità nulla hanno da far meco in lor genere), ma in ciò mi sforza il tener per fermo che sí come mi ebbe a core e il vostro gran Padre, e il suo tremendo zio, e il di voi suocero invitto (la cui memoria è d'Italia ornamento, e de la milizia sostegno), né piú né meno dee avermi in io grazia quel loro genero, parente, e figliuolo, che gli imita in tutte le cose che apportano al nome e a l’opre grado di onore e di laude. Onde promosso dal caso di sí onesta credenza, non dubito di ottenere, da la generosa bontà di voi, l'esserle cara la pratica, la lealtade, e la vita che il Luchese Ossi M. Francesco viene a spendere in servigio di quel tanto che conoscerà riuscire in sodisfazzione del maneggio impostogli. Or quando sia che il raccomandarvi la di lui servitú adempisca i prieghi che ve la inchinano a i piedi, non altrimenti la notarò ne le carte, ch'io ci abbi registrato le amorevolezze e le mercedi di cui mi fu largo colui de la fama del quale sete erede. Benché lo apportatore di questa merita che maggiore uomo di me il favorisca. Sí che vi bascio la mano umilmente. Di Genaio in Venezia. MDLIIII.

Appendice II - Le testuali (contestate) annotazioni di Paolo Procaccioli:
Carafa Fabio (padre di Faustina e suocero del onte di Caiazzo)  346, A. confida che il conte lo abbia a cuore come lo ebbero il padre, lo zio e il suocero.
Rossi (de') Ercole: (conte di Caiazzo; figlio di Giulio e di Maddalena Sanseverino) 346, A. non gli ha mai scritto, ora lo fa non per presunzione, ma perché confida che il conte lo abbia a cuore come lo ebbero il padre, lo zio e il suocero; gli raccomanda F. Ossi.
Rossi (de') Giulio: (padre di Ercole; conte di Caiazzo) 346, A. confida che il conte Ercole lo abbia a cuore come lo ebbero il padre, lo zio e il suocero.
Rossi (de') Pier Maria: (zio di Ercole de' Rossi, conte di Caiazzo) 346, A. confida che il conte Ercole lo abbia a cuore come lo ebbero il padre, lo zio e il suocero.

 

 

Bibliografia:

ARETINO, P., Lettere - Libo VI (a cura di P. Procaccioli), Salerno, Roma, 2002.
ARETINO, P., Le carte parlanti (a cura di G. Casalegno e G. Giaccone), Sellerio Ed., Palermo, 1992.
CAVALLI, G. M., Cenni storici della borgata e Chiesa di San Secondo, Archivio Parrocchiale di San Secondo, 1870 (manoscritto).
LITTA, P., Famiglie celebri italiane, parte I e II, Milano, 1819/1883 - Napoli, 1902/1907.
ROSSI (de'), F,, Elogia virorum rosciorum bellica virtute et litteris illustrium (Biblioteca Palatina di Parma, Manoscritto Parmense 1184), in PEZZANA, A., Storia della città di Parma, Tomo IV, 1852.

Si veda anche il sito GENEALOGIE DELLE DINASTIE ITALIANE e specificamente le pagine relative ai Rossi ed ai Sanseverino.


 

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