Tracce rossiane nei Palazzi Vitelli a Città di Castello

 

di Laura Malinverni

 

 

Supremazia politica e patronage artistico dei Vitelli

 

I Vitelli, già ricchi mercanti nella seconda metà del Trecento, nel corso del Quattrocento e del Cinquecento crebbero d’autorità in Città di Castello, giungendo ad assumere notevole importanza nella vita pubblica e a prevalere nelle lotte delle fazioni cittadine.  La fiorente condizione economica di Città di Castello all’epoca è documentata dallo sviluppo delle università delle arti e dei mestieri, dai rapporti commerciali, principalmente con Firenze, oltre che dall’espansione urbana e dall’attività edilizia.

La fortuna della famiglia Vitelli, nel senso machiavelliano del termine, fu sempre determinata dal valore: anche se, con modestia, sull’architrave della porta del muro di cinta di Palazzo Vitelli alla Cannoniera figura la scritta “non virtus sed fortuna”, nella vicina finestra laterale si contrappone la più realistica scritta “et fortuna et virtus[1]. Sempre più noti e stimati come uomini d’arme e condottieri, a contatto principalmente con le corti di Roma e di Firenze, nel Cinquecento i Vitelli fecero di Città di Castello il luogo in cui, dopo Anghiari e Sansepolcro, brillava più fulgidamente lo stile architettonico fiorentino.

Senza dimenticare che il 10 dicembre 1500 era giunto dalla vicina Urbino Raffaello per la sua prima commissione contrattuale, l’elenco dei pittori coinvolti nel Cinquecento dal patronage familiare sono molti: Piero di Cosimo col “Ritratto di dama con coniglio”, probabile ritratto di una Vitelli; Mastro Giorgio da Gubbio con “maioliche” (1527) per Gentilina della Staffa-Vitelli; Giuliano Bugiardini con il “Ritratto di Angela de’ Rossi”, moglie di Alessandro Vitelli; Pontormo col “Noli me tangere”, commissionato dallo stesso Alessandro Vitelli; Ridolfo e Michele Ghirlandaio con una “Sant’Anna” per la cappella “di quel signore” in San Florido; Cristofano Gherardi, detto il Doceno, con “un bel quadro”- ricordato dal Vasari- per Alessandro Vitelli, allora alla guardia di Firenze (1530), poi con le decorazioni a graffito e ad affresco nel Palazzo Vitelli alla Cannoniera ed ancora con altri lavori, non identificati, condotti nel 1545 per Paolo Vitelli; Giorgio Vasari dipinge il “Cenacolo” per suor Faustina Vitelli da donare al convento delle Murate in Firenze; quindi l’“Incoronazione della Vergine” per Gentilina Della Staffa, vedova di Nicolò Vitelli, da porre in San Francesco nella Cappella Vitelli, opera architettonica del medesimo Vasari; Parmigianino una “Culla di putti” per Angela Rossi in Vitelli; Prospero Fontana le “Storie de’ fatti dei Vitelli” nel Palazzo Vitelli a Sant’Egidio.

Nelle gallerie delle principali famiglie cittadine figurano anche opere del Bronzino, di Rosso Fiorentino, di Giulio Romano, di Raffaellino del Colle[2].

 

 

Tracce rossiane a Palazzo Vitelli alla Cannoniera e a Palazzo Vitelli a San Giacomo

 

Il 14 novembre 1521 Alessandro Vitelli acquistava alcune case in Città di Castello, sul luogo detto “Cannoniera” perché vi sorgeva un’antica fonderia di cannoni o perché era in prossimità della fortificazione da cui le artiglierie difendevano la porta di S. Florido e il ponte sul Tevere. Le case non furono abbattute, ma restaurate, conglobate in un solo palazzo e decorate, con lavori che si protrassero fino al 1532, dopo il proprio matrimonio con Angela Paola Rossi, seguendo disegni e progetti che la tradizione vuole in parte proposti dallo stesso Alessandro Vitelli. Il palazzo rinascimentale che ne derivò, sul modello dei coevi palazzi fiorentini, fu poi ancora ampliato e abbellito dal 1543 al 1559 circa.

Oggi il Palazzo Vitelli alla Cannoniera ospita la Pinacoteca Comunale e si presenta con una facciata rivolta sul giardino impreziosita da bellissimi graffiti a grottesche, realizzati da Cristofano Gherardi, detto il Doceno, su disegno del Vasari, mentre nelle volte interne sono affreschi raffaelleschi a soggetto profano, di alto pregio, ispirate a quelli delle Logge Vaticane, di Cola dell’Amatrice, dello stesso Gherardi, e presumibilmente di Battista della Billia e di un altro Battista Tifernate.

Nei graffiti sembra si sia voluto manifestare il programma politico dei Vitelli e l’alleanza con i Medici: le sette lune dell’emblema dei Vitelli sono disposte allo stesso modo delle arance dello stemma dei Medici.

Ma in particolare  la decorazione interna del Palazzo presenta rimandi e allusioni al matrimonio fra Alessandro e Angela Rossi, come prova l’iscrizione venuta alla luce durante i lavori di restauro dei primi del Novecento: “Paula Parmensis suo cum coniuge - quieti propriae et parentum erexerunt ne nomini set virtitus memoria pereat”[3].

L’ampia e massiccia arcata che sostiene la sala maggiore del palazzo è chiamata dal Magherini “volta della signora Laura”, mentre sulla parete a destra della seconda rampa della scala, nella lunetta centrale,  c’è l’affresco più interessante e originale: vi è rappresentata “una giovane donzella in atto di cavalcare, con leggiadra movenza, il dorso di una figura maschile munita di basto e col volto imbrigliato come un giumento”.

Il Magherini[4] crede di identificare nel singolare ritratto della donna che cavalca sul dorso imbastato dell’uomo carponi la “sora Laura”, leggendario amore adulterino di Alessandro Vitelli: la dama pare avesse l’abitudine di gettare un fazzoletto agli uomini che passavano sotto la finestra della sua abitazione per intrattenersi con loro, salvo poi ucciderli e farli sparire attraverso un trabocchetto. E’ possibile che Laura frequentasse Palazzo Vitelli, ma più recentemente gli storici tendono a vedere nella donna effigiata la stessa Angela Rossi. E’ infatti improbabile che Alessandro Vitelli, dopo aver sperimentato la terribile gelosia della consorte sulla persona trucidata della cameriera Veronica[5], facesse rappresentare nella loro casa un’amante. Inoltre, la giovane donna ha un viso dal disegno e colorito ben caratterizzato, proprio come se si trattasse di un ritratto, mentre i volti delle altre figure femminili, nelle lunette laterali, appaiono sbiadite al confronto, senza una vera espressione e ridotte a una funzione semplicemente decorativa.

Infine, Vittorio Corbucci considera che le pitture delle lunette decoranti le pareti della seconda scala, opera certamente più tarda e di stile molto diverso, sembrerebbero richiamare il concetto dell’eterno femminino, con ogni probabilità ispirato (o direttamente suggerito!) all’artista dalla volitiva e prepotente Angela Rossi[6]. Quindi suo sarebbe il ritratto della giovane donna che cavalca l’uomo, e quest’ultimo, vestito con un abito lungo che sembrerebbe talare, potrebbe essere Monsignor Filodori, l’infelice prelato a cui, durante un litigio, Angela Rossi “dette perfino uno spintone e lo buttò giù dalla scala”[7].

E non è questo l’unico ritratto che si suppone essere di Angela Rossi: nel centro della volta sopra la prima scala, dove si rincorrono gli stemmi e le allusioni alle vicende politiche dell’ascesa dei Vitelli, oltre al tondo con il vitello, la scacchiera e le mezze lune (rievocante le gesta dei Vitelli contro i Turchi), inquartato poi con il leone rampante dei Rossi di San Secondo, ci sono altri due tondi di maggiori dimensioni che raffigurano Orfeo con la lira e Leda con il cigno. E’ proprio nelle sembianze di questa Leda che si suppone si celi un altro ritratto di Angela Rossi.    

Anche la nascita di Palazzo Vitelli a San Giacomo è collegata ad Angela Rossi, visto che sul portone d’ingresso figura il leone rampante, stemma della famiglia di San Secondo. La leggenda vuole che l’intraprendente moglie di Alessandro Vitelli, gelosa per il tradimento del marito, abbia fatto costruire ex novo questo palazzo per fissarvi la propria residenza, lontano dal consorte.

In realtà, sembra poco credibile che una donna in crisi coniugale permetta che nel nuovo palazzo vengano rappresentati in molte sale, compresa quella principale, gli stemmi celebranti la famiglia del marito. Un’ipotesi più verosimile fa risalire la costruzione del palazzo ad un’epoca anteriore, corrispondente al primo matrimonio di Angela Paola Rossi, quello con Vitello Vitelli, cugino di Alessandro, e vede nel leone rampante dei Rossi un omaggio dello stesso Vitello alla giovane moglie.

 

[1] Vittorio Corbucci,  “Il palazzo di Alessandro Vitelli e la Pinacoteca comunale di Città di Castello : note illustrative e descrizioni delle principali opere d'arte”,  Città di Castello, Società Tip. Leonardo da Vinci, 1931

[2] Corrado Rosini,  “Dietro la moda delle grottesche: Prospero Fontana e Paolo Vitelli”, Citta di Castello, Cassa di Risparmio di Citta di Castello,1986

[3] Vittorio Corbucci, “La tirannia del Cardinale Vitellozzo Vitelli e di Angela Rossa a Città di Castello”, Foligno, Campitelli, 1925

[4] Giovanni Magherini Graziani, “L’arte a Città di Castello”, Città di Castello. S. Lapi, 1897

[5] Cfr. biografia di Angela Paola Rossi “Bellissima donna, per quanto peccaminosa…” in questo sito

[6] Vittorio Corbucci, op. cit.,  nota 1

[7] Pier Luigi Buzzone- “Matrone Romane: racconti storici”, Torino 1889, Tip. Festa e Tarizzo 

 


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