LETTERE - Libro II - 171

 

Nota bibliografica. Federico II Gonzaga nasce nel 1500. E' figlio di Francesco II e di Isabella d'Este, dalla quale prende l'amore per le arti e la letteratura. Ospita a più riprese presso la sua Corte Pietro Aretino (1523, 1526-27, 1528), anche se poi ne distacca per le forti pressioni della Curia Pontificia. I rapporti riprenderanno nel gennaio del 1540, pochi mesi prima della morte del duca. Il Luzio nella sua opera edita a Torino nel 1888 "Pietro Aretino nei suoi primi anni a Venezia e la Corte dei Gonzaga"   traccia un significativo ed esauriente resoconto di quel periodo. Federico è strettamente imparentato con i Rossi, in quanto la cugina Camilla (figlia di Giovanni, signore di Vescovato) nel 1523 sposa il Conte di San Secondo Pier Maria III.

 

Al duca di Mantova, marchese di Monferrato

Le vostre lettre, signore, mi sono state sì care che nel riceverle il mio animo, ranuvolato da l’umor d’un caso non meno strano che importante, non pur si rischiarò ma rasserenossi tutto. Benché non potrebbe fare altrimenti, ancora che i fastidi gli fussero più oscuri che i pensier de la morte; perciò che egli è suto tante volte tranquillitato da le cortesie di vostra eccellenza che in quel mentre che la memoria infacendata dietro a l’altre cure gli restituisce il nome di voi, la sua mente è obligata a sgombrar da sè ogni nebbia di occupazione, onde torna lucida come l’ariento e l’oro de le maniche e de le calze che mi avete mandato, dono conveniente a una reina non che a una madonna. E così la sorte che mi perseguita si rimane con quella ansia con cui credettesi conturbar me, che oltre a lo avere a ripararmi da la penuria di questo anno infelice, debbo anco comportare il danno dei molti scudi che il re Francesco e il cardinal Loreno diedero ad un famigliar mio acciò che me gli portasse e non perché me gli giocasse. Gran cosa che non si trovi più fede alcuna! Ecco, il mandato da me in Francia, non risguardando a la virtù che egli trae da la mia, né al grado in cui l’ho posto, né a lo essermi stato assai tempo in casa, né a lo amore de la figliuola, né a la tenerezza de la moglie, né a la carità de la sorella, né a l’onor del fratello, né a l’onestà del padre, né a la vita di se proprio, ha voluto più tosto far male con lo essempio de le altrui tristizie che altri facci bene con quello de le sue bontadi.  Ma più mi duole sì fatta perdita per il pane che ella toglie di bocca a molti meschini che per conto ch’io tenga di cotal somma; però che se il non essere cùpido è pecunia, io posseggo assai denari. Credamisi pure che io solo dispenso in limosina più che non fanno dieci di quegli che son più ricchi che io non son mendico, e lo impegnarmi per le fami dei virtuosi e dei miseri mi è un continuo essercizio. Io non mi vanto di ciò per darmi fama di buono, ma per ricordare a me stesso l’obligo che io ho a Cristo che mi rivolge con l’opre de la misericordia inverso i bisogni del prossimo. Or per tornare a le carte di nuovo scrittemi e al presente di nuovo mandatomi, da che non so riferirvene grazie con la degnità de le parole, ve le riferisco con la volontà de le intenzioni, il cor de le quali è tanto cresciuto nel racquistar la vostra ombra quanto scemò nel perderla. E se egli potesse aggiungere affezione e reverenzia a la riverenzia che vi debbe e a la affezion che vi porta, si sforzeria col fare a gara seco medesimo di ampliar l’una e l’altra. Ma non si potendo, non mancarà di perpetuare in lui la grandissima cagione che lo move ad amarvi nel modo che vi ama e a riverirvi ne la maniera che vi reverisce.

 Di Vinezia, il 8 di marzo 1540.

Pietro Aretino

Post scritta. Per conoscere io che il disperarsi dei ducati persi mi si attribuirebbe a viltà e il non gli stimare a pazzia, ardisco richiedervi d’una dirizzata a Turino a monsignor d’Anibo’, pregandolo a scrivere per sì fatto interesso a la Corte. E perché il favore di sì prestante capitano causò la spedizione dei predetti denari, son certo che l’opera di lui me gli farà ristituire, e tanto più tosto, quanto più caldo ci si dimostra il mezzo de la vostra clemenza. 

 

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