LETTERE - Libro II - 323

 

Nota bibliografica. Madonna G. non è altrimenti meglio identificabile, stante la assoluta mancanza di riferimenti oggettivi. Francesco Erspamer avanza due ipotesi: la prima identificherebbe la destinataria della lettera in una cortigiana, la seconda che la lettera sia stata scritta su commissione.

 

A madonna G.

Dapoi che i miei occhi tirarono la vostra imagine ne la mia anima, non ha mai cessato di pregare Amore che mi assolva di quella prosunzione che mi rivolge a contemplazion sì alta; però che non solo si pecca a desiderarvi ma ancora a mirarvi, massimamente con lo affetto che move me, che vi adoro non secondo il merito ma in quanto per me si puote. Benché dove manca il dover riverirvi come si debbe, supplisce il volere servirvi quanto si può. E supplendoci, dico che se bene mi si disconviene il vostro mostrarmisi grata, non è però da rifutare la fede di me che, per conoscere che amore è desio de la cosa bella e volontà de la bona, amo voi che non pur sete composta di bontade e di bellezza ma fatta studiosamente da la natura perché gli uomini vegghino le sue maraviglie nel vostro viso e perché io abbi suggetto di vantare la indegnità de la mia servitù. Or, benché io non sia di quegli amanti che, incitati da la impacienzia de lo spirito, scotendo nel petto di tosco l’animo fiero aguzzano tra i labbri rabbiosi l’ira concetta da lo sdegno preso ne la crudeltà de la lor donna, son però di sorte che vi seria gloria il por mente al come io vi amo e al quanto pato amandovi. Sì che recreate me inanzi che io muoia o che manchi in voi lo splendore de la presente vaghezza: avenga che la etade verde fugge come rio che corre, e se ben segue la seconda non è da confarla con la prima,  né con il venirne poi de la vecchiezza tacita, la quale avendo sempre l’occhio a le tenebre de la morte non sa se non pentirsi del tempo che ella ha speso indarno. Io vi pongo inanzi cotale essempio più tosto che onorar voi che per beneficar me; con ciò sia che, senza altro premio di pietade, vi sono servo in modo che, ancora che ristituiste me a me stesso, mi vi renderei, come quello che vivo più volentieri vostro che mio.

Di Vinezia, il 9 Marzo 1542.

 Pietro Aretino

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