Dicembre 1526
I Lanzichenecchi nel Parmense
Nella "Storia d'Italia" del Guicciardini il puntuale resoconto
di alcuni preliminari del "Sacco di Roma"

A cavallo degli ultimi mesi del 1526 ed i primi del 1527, la Pianura Padana centrale - dal Mantovano al Modenese, dal Reggiamo al Parmense, al Piacentino - è stata teatro di manovre militari foriere di profondi sconvolgimenti degli assetti politici italiani e della stessa storia d'Italia. Si stava assistendo al passaggio dei circa 15.000 famigerati Lanzichenecchi, al comando del generale Giorgio di Frundsberg, i quali, il 6 maggio 1527, avrebbero messo in atto il "Sacco di Roma".

In pieno periodo di "Riforma protestante", i rapporti fra le "grandi potenze" - l'Impero, il Regno di Francia, il Papato - erano di profonda crisi. L'imperatore Carlo V d'Asburgo dominava incontrastato la scena politica italiana, dopo avere sconfitto e fatto prigioniero, il 24 febbraio 1525 a Pavia, il Re di Francia Francesco I. Sul soglio di Pietro sedeva Papa Clemente VII, Giulio de' Medici, succeduto al cugino Leone X, Giovanni de' Medici, che aveva assistito impotente, allo scisma di Martin Lutero, e ad Adriano VI, Adriano Florensz di Utrecht, l'ultimo papa non italiano prima di Karol Wojtyla , che pure - più con la sola sua propria condotta morale che con azioni meglio efficaci - aveva cercato di riportare la situazione cristiana in carreggiata. Clemente VII, per nulla gradendo l'ingerenza imperiale che metteva in discussione la supremazia pontificia nella penisola, aveva aderito con Firenze, Milano e Venezia alla "Lega Santa di Cognac", proposta dalla Francia, bramosa di risollevarsi. 

In quei momenti di grande tensione internazionale Carlo V passava decisamente all'attacco e mandava in Italia un terribile esercito di Lanzichenecchi, mercenari tedeschi, luterani, imbestialiti contro la Chiesa Romana. Si sentiva lo stesso Frundsberg affermare di volere personalmente impiccare il Papa ed i Cardinali.

Con il ferimento - nei pressi di Governolo il 25 novembre - e la morte - a Mantova, in casa del signor Luigi Gonzaga, il 30 dello stesso mese - del grande condottiero Giovanni de' Medici detto delle Bande Nere, si dischiudeva per i Lanzichenecchi il cammino verso l'accampamento invernale a Piacenza, in attesa del ricongiungimento con le truppe di Carlo di Borbone che tenevano Milano. Per la primavera era stata programmata la "conquista" di Roma.

Il percorso dei Lanzichenecchi, da Ostiglia al campo di Piacenza, veniva puntualmente annotato da Francesco Guicciardini nella "Storia d'Italia" (libro XVII, cap. 16): "Camminorono dipoi i tedeschi, non infestati piú da alcuno, lasciato indietro Governo, alla via di Ostia lungo il Po, essendo il duca d'Urbino a Borgoforte; e a' venti otto dí, passato il Po a Ostia, alloggiorono a Revere: dove, soccorsi di qualche somma di denari dal duca di Ferrara e di alcuni altri pezzi di artiglieria da campagna, essendo già in tremore grandissimo Bologna e tutta la Toscana, perché il duca di Urbino, ancoraché innanzi avesse continuamente affermato che passando essi Po lo passerebbe ancora egli, se ne era andato a Mantova, dicendo volere aspettare quivi la commissione del senato viniziano se aveva a passare Po o no. Ma i tedeschi, passato il fiume della Secchia, si volseno al cammino di Lombardia per unirsi con le genti che erano a Milano". E ancora:"I fanti tedeschi intanto, passata Secchia e andati verso Razzuolo e Gonzaga, alloggiorono il terzo di dicembre a Guastalla, il quarto a Castelnuovo e Povì lontano dieci miglia da Parma; dove si congiunse con loro il principe di Oranges, passato da Mantova con due compagni, a uso di archibusiere privato. A' cinque, passato il fiume dell'Enza al ponte in su la strada maestra, alloggiorno a Montechiarucoli, standosi ancora il duca d'Urbino, non mosso da' pericoli presenti, a Mantova con la moglie; e a' sette, i tedeschi passato il fiume della Parma alloggiorno alle ville di Felina, essendo le pioggie grandi e i fiumi grossi. Erano trentotto bandiere, e per lettere intercette del capitano Giorgio al duca di Borbone, si mostrava molto irresoluto di quello avesse a fare. Passorono agli undici dí il Taro, alloggiorono a' dodici al Borgo a San Donnino, dove contro alle cose sacre e l'immagini de' santi avevano dimostrato il veleno luterano; a' tredici a Firenzuola, donde con lettere sollecitavano quegli di Milano a congiugnersi con loro: ne' quali era il medesimo desiderio".

Una considerazione, una domanda viene spontanea. Perché mai il percorso dei Lanzichenecchi evitava scientificamente la Bassa Parmense e, da Poviglio, si raggiungeva Borgo San Donnino via Montechiarugolo e Felino? Volutamente i Lanzichenecchi si tenevano lontani dalle terre di San Secondo, dove si piangeva la prematura morte del "gran diavolo", il fratellastro della contessa-madre Bianca Riario, quel Giovanni de' Medici che sul letto di morte si ricordava del nipote prediletto, il Conte di San Secondo, additandolo ad esempio e guida dei suoi uomini: "Almeno fuss'egli qui che gli restarebbe il mio luogo" (Pietro Aretino, Lettere, I, 4). La minima scintilla avrebbe potuto innescare reazioni personali dalle conseguenze imprevedibili. Meglio per tutti tenersi alla larga. Credo sia una spiegazione logica e plausibile, anche in considerazione del fatto che i luoghi erano ben presidiati e nelle vicinanze, a ridosso del Po, stazionavano truppe alleate. Non dovrebbero aver influito più di tanto altre motivazioni "politiche" intrinseche alla parentela che legava i Rossi ai Medici e di conseguenza a Papa Clemente VII, indubbiamente poco amato. Già Federico II Gonzaga aveva concesso l'attraversamento dei territori di Mantova e in seguito, sempre parola di Francesco Guicciardini (cit., XVIII, 9), "Piermaria Rosso e Alessandro Vitello con dugento cavalli leggieri passorono a Roma agli inimici".

A Fiorenzuola i Lanzichenecchi incontrarono qualche modesta resistenza. Infatti veniva mandata "parte della cavalleria franzese con qualche fante ad alloggiare in diversi luoghi del paese, per disturbare le vettovaglie a' fanti tedeschi, stati già molti dí a Firenzuola. Per quella cagione medesima fu mandato Guido Vaina con cento cavalli leggieri al Borgo a San Donnino, e Paolo Luzasco uscito di Piacenza si accostò a Firenzuola; donde una parte de' tedeschi, per piú comodità del vivere, andò ad alloggiare a Castello Arquà". 

Non erano, tuttavia, azioni preordinate e neppure ben coordinate, solo scorribande isolate, tese ad ostacolare il reperimento delle vettovaglie e dei mezzi di sostentamento e ad alleviare, magari aggravandolo, il disagio della popolazione: "Ma la lunga dimora de' tedeschi ne' luoghi vicini, esclamando ciascuno del pericolo di quella città, lo costrinse a consentire che vi andasse il conte Guido [Rangone] con grossa gente: dove anche per ordine de' viniziani, che avevano promesso, per soccorrere alle necessità del pontefice, mandarvi a guardia mille fanti, vi fu mandato Babone di Naldo, uno de' loro capitani; ma per i mali pagamenti tornorono presto a quattrocento. Passò finalmente Saluzzo, non avendo in fatto piú che quattromila tra svizzeri e grigioni e tremila fanti de' suoi; e condotto al Pulesine, ancora che si desiderasse non partisse di quivi per infestare lo alloggiamento di Firenzuola, dove anche spesso scorreva il Luzasco, si ridusse per piú sicurtà a Torricella e a Sissa. Ma due dí poi i tedeschi, partiti da Firenzuola, andorono a Carpineti [Carpaneto Piacentino] e luoghi circostanti; e il conte di Gaiazzo, presa Rivolta, passò la Trebbia né si intendeva quale fusse il disegno del duca di Borbone, o di andare a campo a Piacenza, come fusse uscito di Milano, o pure passare innanzi alla volta di Toscana. Passorono poi, l'ultimo dí dell'anno, i tedeschi la Nura, per passare la Trebbia e aspettare quivi Borbone, essendo alloggiamento manco infestato dagli inimici".

Esattamente un mese dopo, il 30 gennaio 1527, avveniva il ricongiungimento delle forze imperiali terrestri, i Lanzichenecchi di Frundsberg e gli uomini di Carlo di Borbone. E nel giro di qualche settimana ricominciavano i dolori, con il saccheggio, il 22 febbraio, di Borgo San Donnino. Il 23 febbraio il marchese di Saluzzo si ritirava da Parma alla volta di Modena, seguito a distanza dagli imperiali. Il 13 marzo, nel territorio di Modena, un grave tumulto scoppiava tra i Lanzichenecchi che reclamavano le paghe, cronico ritornello. Il Borbone, dopo aver inutilmente tentato di ricondurre all'obbedienza i sediziosi, era costretto a fuggire per avere salva la vita, cosa che non riusciva al Frundsberg, il quale nell'estremo tentativo di calmare i soldati, nell' impeto dell' ira, veniva colto da apoplessia e cessava di vivere tre giorni dopo a Ferrara. Almeno il Papa e i Cardinali avrebbero avuto salva la vita!

Finalmente soddisfatti ancora una volta dal duca d'Este, i Lanzichenecchi, con tutto l'esercito imperiale, lasciavano la Pianura Padana, attraversavano la Toscana, l'Umbria ed il Lazio e, la mattina del 6 maggio 1527, portavano a termine la loro "impresa". 

Il "Sacco di Roma" rappresenta ancora oggi uno degli avvenimenti più impressionanti e drammatici di tutto il XVI secolo.

Pier Luigi Poldi Allaj