Sabato 31 Luglio 2004

Quando la storia diventa spettacolo teatrale. E spunta la magia

A Città di Castello rievocato un matrimonio del Millecinquecento tra rampolli di famiglie al culmine della potenza

di ROMANELLA GENTILI BISTONI


Città di Castello


CHE C’E’ di meglio di uno spettacolo teatrale per riproporre una pagina di storia? Per esempio, il matrimonio tra Angela e Vitello in piano millecinquecento, proposto dal gruppo di recitanti e interpreti “La corte dei Rossi di S. Secondo Parmense” nel salone dei Fasti del Palazzo Vitelli a S. Egidio di Città di Castello, per l’organizzazione di Carlo L. Morini, priore della Confraternita del Buon Consiglio.
La rappresentazione ha rievocato il matrimonio tra Angela Paola dei Conti Rossi di S. Secondo Parmense e Vitello Vitelli, condottiero al servizio di papi e principi, celebrato intorno al 1524, quando le due nobili famiglie erano al culmine della potenza economica e sociale.
Angela Paola era figlia del conte Troilo dei Rossi e Bianca Riario, nipote della famosa Caterina Riario Sforza, donna decisa e intrepida, degna figlia di quei tempi piuttosto turbolenti. La giovane fanciulla si accese di amore per il baldo condottiero al servizio di Papa Leone X e come capitano alle dipendenze di Giovanni delle Bande Nere “l’unico homo che poteva liberar l’Italia dalli stranieri” così riconobbe Macchiavelli. Giovanni era zio della giovane Angela Paola perché nato dal matrimonio di Caterina, vedova Riarlo, con Cosimo dei Medici detto il Popolano. Per i suoi buoni uffici e per quelli di Pietro Aretino, poeta, letterato, “giornalista” acuto e pungente dei suoi tempi, che viveva alla corte del grande condottiero, la severa Bianca dei Rossi dette il consenso alle nozze; il Vitelli condusse la giovane sposa nelle sue terre, in Umbria, precisamente in quel Palazzo Vitelli a San Giacomo che, ancora oggi, sebbene scolorita dal tempo, conserva la scritta “Vitulus, in urbe Habendus”.
Vitello Vitelli seguì Giovanni dalle Bande Nere nelle lotte contro gli Imperiali e i Lanzi che allora saccheggiavano il Nord Italia, fino al terribile scempio di Roma negli anni 1526-27. Dopo la precoce morte di Giovanni, il Vitelli fu reputato degno di succedergli al comando delle Bande Nere e con esse difese strenuamente Clemente VII chiuso in Castel S. Angelo; lì trovò la fine, lasciando Angela Paola vedova ad appena 23 anni e già madre di tre figli.
Questo dunque il fatto storico che il gruppo teatrale permanense ha rievocato. La rappresentazione ha avuto inizio nell’androne loggiato del Palazzo Vitelli al suono di tamburi e chiarine, mentre Pietro Aretino leggeva al pubblico attento delle dolci traversie d’amore e de li fatti d’arme”.
Prima di salire lo scalone per accedere alla sala dei Fasti, la voce guida dava notizie sul magnifico palazzo rinascimentale fatto costruire dal Marchese Paolo III Vitelli tra il 1544 e il 1555 su planimetria e disegni del Vasari e influenze dell’Ammannati.
Poi una scena di grande suggestione: sulla sommità dello scalone, tra luci rosse e fumi colorati, apparivano le figure dei protagonisti mentre il crescendo incalzante dei Camina Burana accompagnava e sottolineava la scena. Nel salone dei Fasti la rappresentazione avveniva alla luce dei grandi doppieri e il tremolio delle candele polarizzava e acuiva l’attenzione del pubblico sulle figure in scena: la severa Contessa Bianca dei Rossi, la giovane e bella Angela Paola determinata verso il suo destino, il fiero Vitello Vitelli, il subdolo ambasciatore di Francia, il sottile e suadente Pietro Aretino, il carismatico Giovanni delle Bande Nere, l’attore e regista Dietro Barrettini in pieno phisique dou role. Forti gli applausi alla fine di ognuno dei tre atti; nell’intervallo, a luci accese, la voce-guida illustrava con dovizia di particolari i Fasti, cioè gli affreschi di Prospero Fontana e dei suoi aiuti: Samacchini, Pomarancio, Cesare Baglione raffiguranti le gesta dei Vitelli e si soffermava su quelli inerenti la rappresentazione.
Ecco la “Camillo Vitelli” capitano delle truppe della Repubblica Fiorentina, al seguito di Carlo VIII di Francia, durante la sua rapida discesa in Italia nel 1494. E’ quella la battaglia sul fiume Taro (la battaglia di Farnovo) dove la furia franzesa e le mille lance di Camillo prevalsero sulle forze della lega anti francese; ecco il re che dona al condottiero umbro la sua pesante catena d’oro: l’antico e prestigioso ordine militare di Saint Michel e poi il titolo di Principe di Gravina. Nella parete est, il barbuto Alessandro Vitelli, secondo marito della bella Angela Paola, chiuso nella sua lucente armatura è di fronte a Cosimo dei Medici, figlio di Giovanni delle Bande Nere e primo Granduca di Firenze; con le sue truppe, il condottiero umbro, sedati i tumulti seguiti all’assassinio di Alessandro dei Medici, ha catturato il Bruto liberticida, Lorenzino dei Medici, ha offerto il potere a Cosimo, secondo i desideri di Clemente VII, ed Alessandro Vitelli si inchina all’imperatore Carlo V che, per i servizi resi ai Medici e al Papa, lo nomina “Principe di Amatrice”. Il grande Re aveva qualcosa da farsi perdonare dal Papa!
Quando le luci tornano a spegnersi, la figura gentile, ma altera, di Angela Paola Vitelli si aggira nel salone tra il monumentale camino, il tavolo, i dispacci che esamina con attenzione; la voce guida riprende a narrare la vita di questa donna forte, accorta osservatrice degli avvenimenti del suo tempo (carteggio nell’archivio Rondinelli-Vitelli a Firenze), amministratrice dispotica della sua città, specie dopo la morte di suo marito Alessandro, avvenuta nel 1554, proprio quando il loro primo figlio, Vitellozzo, cardinale di Santa Romana Chiesa viene nominato Cardinale Camerlengo da Papa Pio V (ultimo riquadro in alto nella parte ovest del salone).
Angela Paola, dagli otto di custodia accusata di simonia, di usura e anche di aver fatto “homicidi”, viene condannata all’esilio dal tribunale della Sacra Consulta. Ma i buoni uffici del figlio cardinale le permettono di uscire dalle prigioni di Castel S. Angelo e, di tutte le accuse, le rimane quella di usura feneratizia; e se la cava con il versamento alla camera apostolica di diecimila scudi per il “maltolto”.
Angela Paola trascorre gli ultimi tre anni della sua vita in preghiera e penitenza in quel palazzo di S. Giacomo che la vide giovane e radiosa sposa di Vitello Vitelli, spegendosi nel 1573.
La rievocazione storica si è conclusa; il folto pubblico applaude generosamente interpreti e recitanti, commenta, sorpreso e ammirato, gira ancora lo sguardo sui “fasti” della bella sala, discende lo scalone, si spengono le luci e il fumo delle candele e delle torce è nell’aria. Nel palazzo è tornato il silenzio, ma presenze misteriose sorridono dalle pareti perché la magia del teatro, quasi un sortilegio, le ha fatto rivivere forti, incisive, crudeli, inquietanti. Sullo sfondo di una città fiera del suo fascino architettonico rinascimentale.

 

I  COSTUMI

La rappresentazione ha rievocato il matrimonio tra Angela Paola dei Conti Rossi di S. Secondo Parmense e Vitello Vitelli, condottiero al servizio di papi e principi, celebrato intorno al 1524, quando le due nobili famiglie erano al culmine della potenza economica e sociale.
Il gruppo teatrale ha elaborato i testi, arricchendoli di note musicali rinascimentali con il coro diretto dal bravo maestro M. Poesini, e con Pietro Aretino che recitava versi e brani del suo ricco Epistolario.
Belli e sontuosi i costumi dove il nero velluto predominava, sfarzose le vesti femminili con strassico, velo, gioielli e ricche acconciature; farsetti ricamati e lucenti spade per Giovanni e Vitello, lunga zamarra per Pietro Aretino, cotte nere con cappuccio per le Bande.

 

 

Il recupero della memoria

Ma che storia è questa

di LANFRANCO ROSATI


SE CI ponessimo un interrogativo alla ricerca del significato di quegli eventi ricostruiti con dovizia di particolari in ogni angolo, anche il più remoto, della nostra regione, dovremmo chiederci quali finalità e su quali fonti inconfutabili si regge l'evento rappresentato. Per quanto riguarda la realtà umbra, non c'è problema: ogni angolo, come anche ogni pietra dei vetusti borghi costituiscono punti di approdo che legittimano un'opera di ricostruzione storica.
Ci si domanda spesso se le vie e le piazze intitolate, ad esempio, all'eroe dei due mondi abbiano un riferimento storico o se non siano semplicemente il tributo pagato al grande personaggio della storia d'Italia. Ebbene, quantunque prove provate non siano facilmente inventariabili, una cosa è certa: Giuseppe Garibaldi deve avere per forza attraversato un territorio che, comunque, sta al centro, o per meglio dire, è il "cuore" del paese che egli percorse in lungo e in largo. Che poi abbia soggiornato o tramato qualche impresa bellica qui, è cosa da affidare agli storici; a noi poco importa. Importa invece ricordarlo, perché la storia è il recupero della memoria. E, ricordarlo, è possibile collocando la sua persona e le sue gesta all'interno di un ambiente che ha le caratteristiche tipiche dell'Umbria, non quelle di un'altra regione che pure consegna il proprio nome al personaggio da celebrare.
La stessa cosa vale per Dante Alighieri. In fondo anche gli umbri si divisero un tempo in guelfi e ghibellini; che poi "il ghibellin fuggiasco" abbia o meno concorso alla radicalizzazione della sua gente, appunto, poco importa. Anche il Divin Poeta, padre della nostra lingua, vive nelle vie nelle piazze e nei monumenti che qui sono parecchi.
Ed allora l'Umbria ne ha ben donde per rievocare fatti ed avvenimenti che la memoria popolare è in grado di ricostruire, apprestando costumi d'epoca, situazioni e scenari che rispondono ormai ad almeno due esigenze: quella di soddisfare la domanda turistica, perché la rievocazione storica è capace di far confluire gente e dunque vivacizzare le singole realtà paesane; quindi quella di riscoprire brandelli di storia che in qualche modo si legano a vicende universalmente note e tramandate nei libri scolastici.
Infine qualcosa di autentico c'è sempre. Ci sono gli umbri, cioè soggetti umani partecipi di tante vicende. Si dice, forse con il compiacimento della fantasia popolare, che nella storica battaglia di Crimea fossero mille gli eugubini in armi, al punto che un generale del Nord ebbe a dichiarare, in forma dialettale: "Che cosa è questa Gubbio, una Milano?".
Che importa se il fatto sia reale o frutto della fantasia popolare? Forse che non abbiano diritto gli umbri, specialmente gli eugubini, a reclamare una fetta di gloria italica?
La stagione estiva agostana si presta ottimamente a manifestazioni rievocative. La gente è tornata dalla villeggiatura e abita i vecchi borghi d'un tempo, recuperando essa stessa una dimensione perduta nel corso dell'anno lavorativo, impegnata nel caos delle metropoli. Tutto, qui, è a dimensione umana. Le cricche d'un tempo e le abitudini secolari, come lo struscio serale o la chiacchierata al bar.
Tornino allora queste mille occasioni d'incontro. Rispondono ad un bisogno fisiologico, prima che psicologico: quello di recuperare legami affettivi, solidarizzare e socializzare dopo la caduta nell'anonimato quotidiano in un ufficio o in una fabbrica della grande città.

 

Link alla pagina originale de "il Messaggero"

 

Corte dei Rossi