Quando la storia diventa spettacolo teatrale. E spunta la magia
A Città di Castello rievocato un matrimonio del Millecinquecento tra rampolli di famiglie al culmine della potenza
di ROMANELLA GENTILI BISTONI
Città di Castello
CHE C’E’ di meglio di uno spettacolo teatrale per riproporre una pagina di
storia? Per esempio, il matrimonio tra Angela e Vitello in piano
millecinquecento, proposto dal gruppo di recitanti e interpreti “La corte dei
Rossi di S. Secondo Parmense” nel salone dei Fasti del Palazzo Vitelli a S.
Egidio di Città di Castello, per l’organizzazione di Carlo L. Morini, priore
della Confraternita del Buon Consiglio.
La rappresentazione ha rievocato il matrimonio tra Angela Paola dei Conti Rossi
di S. Secondo Parmense e Vitello Vitelli, condottiero al servizio di papi e
principi, celebrato intorno al 1524, quando le due nobili famiglie erano al
culmine della potenza economica e sociale.
Angela Paola era figlia del conte Troilo dei Rossi e Bianca Riario, nipote della
famosa Caterina Riario Sforza, donna decisa e intrepida, degna figlia di quei
tempi piuttosto turbolenti. La giovane fanciulla si accese di amore per il baldo
condottiero al servizio di Papa Leone X e come capitano alle dipendenze di
Giovanni delle Bande Nere “l’unico homo che poteva liberar l’Italia dalli
stranieri” così riconobbe Macchiavelli. Giovanni era zio della giovane Angela
Paola perché nato dal matrimonio di Caterina, vedova Riarlo, con Cosimo dei
Medici detto il Popolano. Per i suoi buoni uffici e per quelli di Pietro
Aretino, poeta, letterato, “giornalista” acuto e pungente dei suoi tempi,
che viveva alla corte del grande condottiero, la severa Bianca dei Rossi dette
il consenso alle nozze; il Vitelli condusse la giovane sposa nelle sue terre, in
Umbria, precisamente in quel Palazzo Vitelli a San Giacomo che, ancora oggi,
sebbene scolorita dal tempo, conserva la scritta “Vitulus, in urbe Habendus”.
Vitello Vitelli seguì Giovanni dalle Bande Nere nelle lotte contro gli
Imperiali e i Lanzi che allora saccheggiavano il Nord Italia, fino al terribile
scempio di Roma negli anni 1526-27. Dopo la precoce morte di Giovanni, il
Vitelli fu reputato degno di succedergli al comando delle Bande Nere e con esse
difese strenuamente Clemente VII chiuso in Castel S. Angelo; lì trovò la fine,
lasciando Angela Paola vedova ad appena 23 anni e già madre di tre figli.
Questo dunque il fatto storico che il gruppo teatrale permanense ha rievocato.
La rappresentazione ha avuto inizio nell’androne loggiato del Palazzo Vitelli
al suono di tamburi e chiarine, mentre Pietro Aretino leggeva al pubblico
attento delle dolci traversie d’amore e de li fatti d’arme”.
Prima di salire lo scalone per accedere alla sala dei Fasti, la voce guida dava
notizie sul magnifico palazzo rinascimentale fatto costruire dal Marchese Paolo
III Vitelli tra il 1544 e il 1555 su planimetria e disegni del Vasari e
influenze dell’Ammannati.
Poi una scena di grande suggestione: sulla sommità dello scalone, tra luci
rosse e fumi colorati, apparivano le figure dei protagonisti mentre il crescendo
incalzante dei Camina Burana accompagnava e sottolineava la scena. Nel salone
dei Fasti la rappresentazione avveniva alla luce dei grandi doppieri e il
tremolio delle candele polarizzava e acuiva l’attenzione del pubblico sulle
figure in scena: la severa Contessa Bianca dei Rossi, la giovane e bella Angela
Paola determinata verso il suo destino, il fiero Vitello Vitelli, il subdolo
ambasciatore di Francia, il sottile e suadente Pietro Aretino, il carismatico
Giovanni delle Bande Nere, l’attore e regista Dietro Barrettini in pieno
phisique dou role. Forti gli applausi alla fine di ognuno dei tre atti;
nell’intervallo, a luci accese, la voce-guida illustrava con dovizia di
particolari i Fasti, cioè gli affreschi di Prospero Fontana e dei suoi aiuti:
Samacchini, Pomarancio, Cesare Baglione raffiguranti le gesta dei Vitelli e si
soffermava su quelli inerenti la rappresentazione.
Ecco la “Camillo Vitelli” capitano delle truppe della Repubblica Fiorentina,
al seguito di Carlo VIII di Francia, durante la sua rapida discesa in Italia nel
1494. E’ quella la battaglia sul fiume Taro (la battaglia di Farnovo) dove la
furia franzesa e le mille lance di Camillo prevalsero sulle forze della lega
anti francese; ecco il re che dona al condottiero umbro la sua pesante catena
d’oro: l’antico e prestigioso ordine militare di Saint Michel e poi il
titolo di Principe di Gravina. Nella parete est, il barbuto Alessandro Vitelli,
secondo marito della bella Angela Paola, chiuso nella sua lucente armatura è di
fronte a Cosimo dei Medici, figlio di Giovanni delle Bande Nere e primo Granduca
di Firenze; con le sue truppe, il condottiero umbro, sedati i tumulti seguiti
all’assassinio di Alessandro dei Medici, ha catturato il Bruto liberticida,
Lorenzino dei Medici, ha offerto il potere a Cosimo, secondo i desideri di
Clemente VII, ed Alessandro Vitelli si inchina all’imperatore Carlo V che, per
i servizi resi ai Medici e al Papa, lo nomina “Principe di Amatrice”. Il
grande Re aveva qualcosa da farsi perdonare dal Papa!
Quando le luci tornano a spegnersi, la figura gentile, ma altera, di Angela
Paola Vitelli si aggira nel salone tra il monumentale camino, il tavolo, i
dispacci che esamina con attenzione; la voce guida riprende a narrare la vita di
questa donna forte, accorta osservatrice degli avvenimenti del suo tempo
(carteggio nell’archivio Rondinelli-Vitelli a Firenze), amministratrice
dispotica della sua città, specie dopo la morte di suo marito Alessandro,
avvenuta nel 1554, proprio quando il loro primo figlio, Vitellozzo, cardinale di
Santa Romana Chiesa viene nominato Cardinale Camerlengo da Papa Pio V (ultimo
riquadro in alto nella parte ovest del salone).
Angela Paola, dagli otto di custodia accusata di simonia, di usura e anche di
aver fatto “homicidi”, viene condannata all’esilio dal tribunale della
Sacra Consulta. Ma i buoni uffici del figlio cardinale le permettono di uscire
dalle prigioni di Castel S. Angelo e, di tutte le accuse, le rimane quella di
usura feneratizia; e se la cava con il versamento alla camera apostolica di
diecimila scudi per il “maltolto”.
Angela Paola trascorre gli ultimi tre anni della sua vita in preghiera e
penitenza in quel palazzo di S. Giacomo che la vide giovane e radiosa sposa di
Vitello Vitelli, spegendosi nel 1573.
La rievocazione storica si è conclusa; il folto pubblico applaude generosamente
interpreti e recitanti, commenta, sorpreso e ammirato, gira ancora lo sguardo
sui “fasti” della bella sala, discende lo scalone, si spengono le luci e il
fumo delle candele e delle torce è nell’aria. Nel palazzo è tornato il
silenzio, ma presenze misteriose sorridono dalle pareti perché la magia del
teatro, quasi un sortilegio, le ha fatto rivivere forti, incisive, crudeli,
inquietanti. Sullo sfondo di una città fiera del suo fascino architettonico
rinascimentale.
I COSTUMI
La rappresentazione ha rievocato il matrimonio tra Angela
Paola dei Conti Rossi di S. Secondo Parmense e Vitello Vitelli, condottiero al
servizio di papi e principi, celebrato intorno al 1524, quando le due nobili
famiglie erano al culmine della potenza economica e sociale.
Il gruppo teatrale ha elaborato i testi, arricchendoli di note musicali
rinascimentali con il coro diretto dal bravo maestro M. Poesini, e con Pietro
Aretino che recitava versi e brani del suo ricco Epistolario.
Belli e sontuosi i costumi dove il nero velluto predominava, sfarzose le vesti
femminili con strassico, velo, gioielli e ricche acconciature; farsetti ricamati
e lucenti spade per Giovanni e Vitello, lunga zamarra per Pietro Aretino, cotte
nere con cappuccio per le Bande.
Il recupero della memoria
Ma che storia è questa
di LANFRANCO ROSATI
SE CI ponessimo un interrogativo alla ricerca del significato di quegli eventi
ricostruiti con dovizia di particolari in ogni angolo, anche il più remoto,
della nostra regione, dovremmo chiederci quali finalità e su quali fonti
inconfutabili si regge l'evento rappresentato. Per quanto riguarda la realtà
umbra, non c'è problema: ogni angolo, come anche ogni pietra dei vetusti borghi
costituiscono punti di approdo che legittimano un'opera di ricostruzione
storica.
Ci si domanda spesso se le vie e le piazze intitolate, ad esempio, all'eroe dei
due mondi abbiano un riferimento storico o se non siano semplicemente il tributo
pagato al grande personaggio della storia d'Italia. Ebbene, quantunque prove
provate non siano facilmente inventariabili, una cosa è certa: Giuseppe
Garibaldi deve avere per forza attraversato un territorio che, comunque, sta al
centro, o per meglio dire, è il "cuore" del paese che egli percorse
in lungo e in largo. Che poi abbia soggiornato o tramato qualche impresa bellica
qui, è cosa da affidare agli storici; a noi poco importa. Importa invece
ricordarlo, perché la storia è il recupero della memoria. E, ricordarlo, è
possibile collocando la sua persona e le sue gesta all'interno di un ambiente
che ha le caratteristiche tipiche dell'Umbria, non quelle di un'altra regione
che pure consegna il proprio nome al personaggio da celebrare.
La stessa cosa vale per Dante Alighieri. In fondo anche gli umbri si divisero un
tempo in guelfi e ghibellini; che poi "il ghibellin fuggiasco" abbia o
meno concorso alla radicalizzazione della sua gente, appunto, poco importa.
Anche il Divin Poeta, padre della nostra lingua, vive nelle vie nelle piazze e
nei monumenti che qui sono parecchi.
Ed allora l'Umbria ne ha ben donde per rievocare fatti ed avvenimenti che la
memoria popolare è in grado di ricostruire, apprestando costumi d'epoca,
situazioni e scenari che rispondono ormai ad almeno due esigenze: quella di
soddisfare la domanda turistica, perché la rievocazione storica è capace di
far confluire gente e dunque vivacizzare le singole realtà paesane; quindi
quella di riscoprire brandelli di storia che in qualche modo si legano a vicende
universalmente note e tramandate nei libri scolastici.
Infine qualcosa di autentico c'è sempre. Ci sono gli umbri, cioè soggetti
umani partecipi di tante vicende. Si dice, forse con il compiacimento della
fantasia popolare, che nella storica battaglia di Crimea fossero mille gli
eugubini in armi, al punto che un generale del Nord ebbe a dichiarare, in forma
dialettale: "Che cosa è questa Gubbio, una Milano?".
Che importa se il fatto sia reale o frutto della fantasia popolare? Forse che
non abbiano diritto gli umbri, specialmente gli eugubini, a reclamare una fetta
di gloria italica?
La stagione estiva agostana si presta ottimamente a manifestazioni rievocative.
La gente è tornata dalla villeggiatura e abita i vecchi borghi d'un tempo,
recuperando essa stessa una dimensione perduta nel corso dell'anno lavorativo,
impegnata nel caos delle metropoli. Tutto, qui, è a dimensione umana. Le
cricche d'un tempo e le abitudini secolari, come lo struscio serale o la
chiacchierata al bar.
Tornino allora queste mille occasioni d'incontro. Rispondono ad un bisogno
fisiologico, prima che psicologico: quello di recuperare legami affettivi,
solidarizzare e socializzare dopo la caduta nell'anonimato quotidiano in un
ufficio o in una fabbrica della grande città.
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