ALCUNE CONSIDERAZIONI IN MERITO A RECENTI SCRITTI
INTORNO ALL' "ASINO D'ORO" DI APULEIO

di Pier Luigi Poldi Allaj

 

La Sala dell'Asino d'Oro della Rocca dei Rossi di San Secondo è stata recentemente oggetto di interessantissimi studi artistici, storici e letterari. La cosa non può sorprendere più di tanto gli "addetti ai lavori", trattandosi di un unicum, unico esempio di trasposizione in pittura del filo conduttore della trama del celebre romanzo di Apuleio "Le Metamorfosi o l'Asino d'Oro".

Dopo gli "antichi" e sparuti accenni, tra il 1985 (Convegno di Maratea sul Racconto) ed il 1993 (pubblicazione del volume "Il modello e l'esecuzione. Studi rinascimentali e manieristici", Napoli, Liguori) da parte del prof. Riccardo Scrivano (Letteratura italiana all'Università di Roma Tor Vergata), dopo che nel 1996 un quadro, il secondo, venne usato in copertina al volume della prof. Silvia Mattiacci (Grammatica latina all'Università di Siena) "Le novelle dell'adulterio - Metamorfosi IX" (Le Lettere, Firenze), nel tempo recente due studiose, Roberta Degl'Innocenti, laureatasi all'Università di Parma - Istituto di Storia dell'Arte - e l'altra, Mariantonietta Acocella, dottoranda di ricerca all'Università di Losanna e docente al Liceo Lugano 1, stanno ora pubblicando gli interessanti risultati delle loro significative ricerche. Due studiose che, hanno vivisezionato sul campo l'oggetto delle loro indagini, alla stregua di Sauro Rossi con la tesi di laurea nella seconda metà degli anni ottanta ("La committenza dei nel XVI sec. e San Secondo Parmense - voll. I e II" - Relatore prof. L. Spezzaferro, correlatore D. Calabri, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Corso di laurea in Architettura, A.A. 1986/87 - III sessione) ed uno specifico volume nel 1993 ("La Rocca di San Secondo", Aemilia, Parma) e ben diversamente dall'illustrte "luminare" che le ha precedute, lo Scrivano appunto, il quale ha riservato alla Sala di San Secondo spazi e considerazioni degni di una "guida turistica" (cfr. la sola nota esplicativa al "pezzo", riferita ad una pur degnissima pubblicazione del T.C.I.!).

Anche se, tra le due, la palma della primogenitura spetterebbe, di fatto e di diritto, alla Acocella, preferisco iniziare la mia disamina partendo dall'analisi del lavoro di Roberta Degl'Innocenti che ha conseguito il titolo accademico di "dottore" nel marzo del 1999 proprio con una dissertazione su "La stanza di Apuleio nella Rocca di San Secondo" (relatore prof. Arturo Calzona, correlatrice prof. Giusi Zanichelli), lavoro recentemente sintetizzato per "Aurea Parma (Anno LXXXIX - Fasc. I - Gennaio-Aprile 2000), una riduzione che purtroppo sminuisce l'immane sforzo profuso originariamente e che palesa alcune incongruenze lessicali (p.e. le pomate magiche di Panfile stavan dentro "vasetti" ["pixydes"], non certo "flaconi") e una eccessiva "semplificazione" che potrebbe fuorviare l'occasionale lettore (l'astuzia di Lucio-asino del 9° quadro non è certamente l'escamotage fisiologico del 4°, ripreso nel 10°!). Il lavoro originario, la tesi di laurea, appare invece suggestivo ed imponente sotto il profilo storico, affascinante per le conclusioni squisitamente artistiche.

Puntuali e precisi gli studi letterari di Mariantonietta Acocella, che si era laureata a Pavia nell'a.a. 1985/86 con la prof. Antonia Benvenuti Tissoni con una edizione critica del "Lucio volgare". Il lavoro "L'Asino d'Oro nelle Corti padane del Rinascimento. Dai volgarizzamenti ferraresi agli affreschi di San Secondo" è stato pubblicato sulla rivista svizzera di letterature romanze "Versants" (Editions SLATKINE, Ginevra). Si va dall'analisi della fortuna dell'opera nel periodo umanistico con la ripresa del modello, a vario titolo, dai Boiardo, Leoniceno, Nicolò da Correggio e Galeotto del Carretto tra il 1475 ed i primi anni del 1500 alle edizioni a stampa degli anni dieci e venti (ed anche successivi), ai famosi affreschi dell'ultimo decennio del '400 nella delizia di Belriguardo a Ferrara, ora purtroppo perduti, ed a quelli dei primi decenni del '500 alla Farnesina di Roma, in Palazzo Te di Mantova, nella Rocca dei Rossi di San Secondo. Viene ampiamente sottolineata l'unicità del modello di San Secondo, la sola storia di Lucio-asino in contrapposizione alla favola di Amore e Psiche nelle altre e ben più prestigiose (si fa per dire, adesso, con il senno del poi!) sedi. Viene seguita la versione "Basteri" circa la numerazione dei "Conti di San Secondo" di nome Pier Maria. Poco chiara invero la genealogia familiare: credo più giusto rispettare le interpretazioni storiche suffragate dalla tradizione locale e riprendere il Litta e il Pellegri (una volta tanto!). Chè, se si volesse essere oltremodo pignoli, il nostro Pier Maria, il "giovane", egli sarebbe il "primo" vero "Conte di San Secondo", essendo "il Magnifico" celebrato, nella famosa medaglia riportata nel Litta, "Conte di Berceto".

Interessanti le conclusioni, di interpretazione artistica e storica negli studi di Roberta Degl'Innocenti, di trasposizione del modello in Mariantonietta Acocella. Scopriamo così nella prima diversi tipi di lettura dell'apparato iconografico sansecondino, mentre la seconda ci svela un finale non propriamente apuleiano, certamente più vicino alla volgarizzazione boiardesca, in netta contrapposizione con le tesi del Pellegri, sposate acriticamente dai vari Rossi, Battisti, Scrivano…

Entrambe le studiose concordano con Godi nell'attribuire i dipinti di San Secondo a Vincenzo Tamagni, pur in mancanza di "prove provate". 

Mi si consenta, infine, una interpretazione personale attorno al quadro IX che vedo molto diverso rispetto alla xilografia veneziana, cosa per altro già evidenziata: "Occorre precisare che la xilografia dell'asinaio crudele mette in evidenza la caduta dell'asino in acqua a causa della riva sdrucciolevole e le conseguenti percosse per farlo rialzare (VII, 18), mentre l'affresco di San Secondo evidenzia il momento dell'asino che volontariamente si butta nella pozza d'acqua per spegnere le fiamme appiccate dal malvagio ragazzo al carico di stoppa (VII, 20)." 

      

Basta scorrere il testo di Apuleio (VII, 20, nella traduzione di Claudio Annaratone per la Biblioteca Universale Rizzoli, 1976 e seg.): "Tuttavia, nelle tenebre della sventura, la Fortuna volle rifulgere con una luce più lieta. Forse mi riservava ai futuri pericoli, ma il fatto è che mi salvò dalla morte immediata cui ero destinato. Difatti, volle il caso che la pioggia il giorno prima avesse formato là vicino una pozza d'acqua fangosa. Vederla e gettarmici completamente dentro, senza neppur riflettere, fu tutt'uno; così l'incendio si spense del tutto, e io me ne uscii alla fine alleggerito del carico e liberato dalla morte. Ma quel pessimo soggetto, quello svergognato d'un ragazzo, anche questa sua infamia ritorse contro di me: raccontò a tutti i pastori che, mentre passavo vicino a dei fuochi accesi dai vicini, a bella posta avevo incespicato, che m'ero lasciato cadere a terra e che m'ero tirato volontariamente addosso le fiamme, e aggiunse ridendo: - Sin quando daremo da mangiar senza costrutto a un incendiario come costui?"

Nella tesi di laurea anche Roberta Degl'Innocenti nota la "diversità", attribuendo però il fatto solo a due momenti tra loro conseguenti, l'inserimento dei carboni ardenti nella soma (VII, 19) e l'evidente volontarietà di Lucio-asino di salvarsi dal fuoco (VII, 18). Nessun riferimento viene fatto a VII, 18, che a mio parere, invece, costituisce il modello inequivocabile della xilografia veneziana, così come riportato nella didascalia della citata moderna edizione della B.U.R.


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