Giovanni Minghelli Vaini

l'innominato di San Secondo

di Pier Luigi Poldi Allaj

 

San Secondo Parmense ai tempi dell’Unità d’Italia ha avuto il suo bello – o brutto? – deputato. Un personaggio molto chiacchierato, dentro e fuori San Secondo. Al paese di San Secondo, peraltro, ha letteralmente cambiato i connotati pur non essendo un geometro, ma un semplice avvocato. E, purtroppo, non è stato, né resterà il solo! Il suo nome non figura nell’Enciclopedia di Parma e neppure nel Dizionario Biografico dei Parmigiani.

Ad onor del vero non era propriamente un sansecondino, essendo nato a Modena il giorno 8 maggio 1817. A San Secondo, comunque, egli ha vissuto gran parte della sua vita e, quanto meno, a far tempo dai primi anni Cinquanta, risalendo esattamente al 5 ottobre 1852 un atto di donazione a suo favore.

Da noi, a Parma, non viene mai ricordato tra i deputati parmensi del neonato Regno d’Italia (la cosiddetta VIII legislatura del Regno di Sardegna), in quel primo parlamento che veniva costituito con le elezioni del 27 gennaio e 3 febbraio 1861, lui che risultava essere stato eletto nel collegio di Bettola, nel piacentino. E come tale, “deputato di Bettola”, viene illustrato negli schizzi biografici di Cletto Arrighi, raccolti in volume dal titolo altisonante e prolisso, “450 deputati del presente e i deputati dell’avvenire per una società di egregi uomini politici, letterati e giornalisti”, un’opera uscita a fascicoli e raccolta in volume tra il 1864 e il 1865 a Milano “Presso gli Editori Via del Broglio N. 3 e S. Paolo N. 8”.

Uno schizzo biografico, datato 24 febbraio 1865 (17-26; 62-70 - III, 366-374) che metteva in luce la discussa personalità dell’uomo, definito sin dalle prime righe “un vero enigma. Liberalissimo, patriota, democratico… pur si dichiara cattolico apostolico e romano, come un uomo educato alla scuola del quietismo e della rassegnazione”. E considerava l’autore: “Forse ci inganniamo; ma un liberale che […] si dichiara espressamente fervido seguace del cattolicismo, noi lo crediamo assurdo”.

Basti questo per un sintetico quadro psicologico di un personaggio fortemente impegnato sugli allora tanto discussi rapporti fra Stato e Chiesa, in tempi nei quali il Papato estendeva ancora il suo dominio temporale su una bella fetta della penisola italica, il Lazio, e la “breccia di Porta Pia” era ancora di là a venire.

Il nostro, dalle carte, risultava attivissimo in parlamento, diversamente dal più noto deputato parmense Giuseppe Verdi che, anche sui banchi, pensava sempre e solo alla sua arte.

E, più delle mie, credo valgano le parole dell’Arrighi:

“… studiò di legge e si distinse più tardi nell'avvocatura. Stabilitosi in S. Secondo, nel 1859 fu eletto deputato all'assemblea di Parma, quindi al Parlamento nazionale.

L'assemblea di Parma ricorda con riconoscenza l'indefesso rappresentante, che stese la relazione su! prestito nazionale e quella sulla reggenza del principe di Carignano.

Nel primo Parlamento italiano, durante le due legislature, sedette alla destra, ammiratore di Cavour. In seguito si accostò al centro sinistro e agli uomini del terzo partito.

Non è oratore. Ma colla stampa tiene i suoi elettori al corrente della propria condotta parlamentare, in modo degno d'ogni più grande elogio. Così, dopo aver votato contro la Convenzione del 15 settembre 1864 [detto per inciso votò contro il trasferimento della capitale d’Italia da Torino a Firenze], diresse al collegio di S. Secondo [lapsus freudiano, non esisteva il collegio di San Secondo] un memorandum per giustificar quel suo voto negativo; e anche questo scritto, in cui la buona fede traspare, si può considerare come un altro riassunto degli equivoci che in varie circostanze e in varii modi si sono manifestati nella quistione romana. Per esempio […]riconosce che l'autorità di Stato non deve ingerirsi nelle quistioni religiose; ma che cosa propone di sostituirvi? L'azione del Comune. Serio pericolo!

Nel 1860 partecipò alla commissione regia per la riforma del sistema penitenziario italiano. Una sua memoria su questo argomento venne annessa alla relazione dei commissari; e il celebre giureconsulto francese, Vidal, pubblicava a Parigi un opuscolo riguardante questa relazione e i relativi documenti”.

Ancora l’Arrighi aggiunge che il nostro “coltiva gli studii sociali, sui quali pubblica sovente importanti risultati.

È scrittore facile e senza sistemi preconcetti. È della scuola eclettica, tantochè qualche volta i suoi lavori sono un po' confusi e fuorviano dallo scopo. Si direbbe che il suo cuore oscilli sovente come aperto e sensibile alle diverse impressioni.

Nel giugno 1863, presentava al Parlamento un progetto di legge relativo alle più importanti riforme d'Italia, cioè:

La surrogazione del Comune allo Stato in materia religiosa;

La nomina per suffragio popolare delle cariche ecclesiastiche, cominciando dai diaconi e dai parrochi.

L'incameramento nei comuni di tutti i beni del clero, senza alcuna eccezione”.

Commenta l’Arrighi: “Questo progetto — del quale noi non vorremmo accettato che il secondo articolo, perocchè crediamo gli altri due di probabile danno alla libertà — non si può dire però che non sia radicale”.

E, adesso, diamo un’occhiata ad altri momenti salienti del suo curriculum, lui che verso la fine degli anni Cinquanta, prima di andare in Parlamento, da taluni è dato anche “sindaco di San Secondo”. Su questo non ho avuto modo di verificare. E’ appurato, invece, che gnel 1849 era stato nominato Direttore del nuovo penitenziario di Oneglia, poi della casa di pena delle donne e dell'ospizio celtico in Torino.

Smessa la politica si dedicò alla vita amministrativa, ricoprendo importanti incarichi. Nel 1869 lo ritroviamo ispettore generale delle carceri e con tale incarico fu chiamato membro della commissione ministeriale d’inchiesta sulle carceri giudiziarie napoletane. Componevano la Commissione: il Presidente Antonio Di Rudinì, Prefetto di Napoli, che nell’ottobre  dello stesso anno 1869 sarebbe diventato ministro dell’interno, e, anni dopo Primo Ministro; i membri erano Pirro De Luca, sostituto procuratore generale, Domenico Pisacane, deputato, il nostro […], ispettore generale delle carceri, Stefano De Maria Casalnuovo, consigliere di Prefettura, relatore.

In seguito adì la carriera prefettizia. Fu prefetto

di Cagliari (8 settembre 1876 - 29 luglio 1878);

di Torino (29 luglio 1878 - 15 febbraio 1880);

di Catania (15 febbraio 1880 - 30 settembre 1881);

di Lecce (30 settembre 1881 - 25 novembre 1883);

di Padova (25 novembre 1883 – 1° aprile 1885);

Collocato a disposizione fu di nuovo nominato prefetto

di Vicenza (16 agosto 1887 – 14 dicembre 1890),

prima di essere collocato definitivamente in aspettativa per ragioni di servizio.

Nell'anno 1891 morte lo coglieva il 7 di novembre.

Come precedentemente accennato, anche sulla scorta dell’Arrighi, egli aveva molta dimestichezza con la penna e scrisse numerosi saggi, in varie riviste sui temi dei rapporti Stato-Chiesa e sulla situazione carceraria. In particolare, dopo aver dato alle stampe con l’Editore Tip. Fodratti Sopra la riforma penitenziaria e sopra la spesa occorrente per introdurla nel regno d'Italia: studio (293 pagine), nel 1868 pubblica con l’editore Boncompagni, L'Individuo, lo stato e la società, ovvero Proposta d'un codice sull'assistenza (825 pagine).

Di lui si ha un bel ritratto a olio su tela di cm 136 x 90 eseguito da Cecrope Barilli nel 1889, ora in collezione privata (Tommaso Tomasi, Noceto).

Un uomo fortemente impegnato nella vita politica e sociale del suo tempo, una persona di cultura sopra la media del suo tempo. Abbiamo però visto sinora solo il dritto della medaglia. Osserviamone ora il rovescio…

Cruciali, nella sua carriera prefettizia, rimasero gli anni torinesi, dove stava prendendo forma l’importante esperienza educativa di Don Giovanni Bosco. Le profonde convinzioni laicistiche del prefetto, certamente non disgiunte da quelle dei governanti ministeriali, innescarono una diatriba volta addirittura alla chiusura di quelle scuole benemerite, diatriba che alla fine ovviamente si risolse a favore dei salesiani. E nelle cronache si annotò che “non ebbero fortuna gli uomini che la sollevarono. L'onorevole Coppino uscì quasi subito dal Ministero. Il [nostro ...], Prefetto di prima classe a Torino, fu traslocato Prefetto di terza classe a Catania, poi a Lecce e quindi messo a riposo”.

Dal che si può concludere che egli ebbe una vita travagliata come la ebbe e, in parte, la ha ancora la casa che egli ebbe la ventura di possedere e di abitare in San Secondo.

Quella casa, che egli ebbe anche la colpa di distruggere o, se proprio vogliamo essere indulgenti, di aver lasciato distruggere, lui proprietario colto e raffinato, e questo fa più male, ancora oggi la possiamo ammirare, mutila e maestosa, in Piazza Mazzini al n. 12.

Qualcuno, doverosamente, mi potrà contestare di aver ricordato un personaggio che tanto male ha fatto al paese di San Secondo, che ne ha violentato e distrutto la figlia più illustre, la figlia più bella, la Rocca che già fu dei Rossi. Accetto la critica… Però anche i Milanesi e Ludovico il Moro la distrussero, ma quelli che vennero dopo la ricostruirono subito più ricca e spendente. Cosa hanno fatto, invece, coloro che sono venuti dopo costui? Cosa stiamo facendo tutti noi, oggi, per salvaguardare la nostra storia ed i nostri monumenti?

L’Innominato di San Secondo si chiamava Giovanni Minghelli Vaini.


   Nota sulle "restituzioni grafiche" della Rocca dei Rossi di San Secondo


Uomini illustri

 

Bibliografia

 

 Corte dei Rossi


Pagina creata in data 03 aprile 2011 00.22.16
Rev. 1 in data
11 maggio 2012 19.21.54
© Pier Luigi Poldi Allaj