29 giugno 2006
 
 
 

NOSTRO COMMENTO
 

La scheda di Chichibìo "A Palasone, un viaggio alla ricerca della spalla cruda" (Gazzetta del 29 giugno 2006) merita alcune considerazioni, alla luce della vasta e puntuale letteratura che, nei tempi recenti – parlo di tre, quattr'anni a questa parte –, si è si è voluto stravolgere per usi e consumi impropri, a scapito della storia e delle tradizioni dell'unica e vera "spalla di San Secondo". Altri eponimi fantastici non hanno proprio ragion d'essere. Non certo per sterili battaglie di primogenitura, ma semplicemente per salvaguardare storia e tradizioni consolidate, in territori sovrapponibili.

Al 1170, ricorda Chichibìo, e precisamente domenica 8 febbraio, aggiungo io, viene ascritto il primo atto ufficiale, pubblico, solenne, nel quale si trova traccia della produzione della spalla di maiale  nella Bassa Parmense, quando "Puteolisius, notarius sacri Palatii" veniva inviato dai Canonici del Capitolo della Cattedrale di Parma a stendere i contratti, in natura, a fronte della coltivazione delle terre ecclesiastiche poste nella giurisdizione di San Secondo che comprendeva, oltre alla chiesa del capoluogo, anche le chiese del Pizzo, di San Quirico e di Palasone, luoghi – Pizzo e Palasone – dove atti, simili a quello di San Secondo, venivano rogati nei giorni feriali successivi – martedì 10 al Pizzo, mercoledì 11 a Palasone – in forma molto più semplice e molto meno solenne, attraverso alcuni testimoni a nome di tutti i coltivatori, diversamente da San Secondo dove l'atto veniva steso in giorno festivo – domenica 8 febbraio, appunto – con il giuramento diretto di ognuno interessato. Gli atti sono stati ampiamente ripresi dagli storiografi parmensi (cito per tutti il Drei, il Pellegri, il Censi) ed io stesso li riporto per esteso nella sezione "documenti" del sito internet della Corte dei Rossi.

Le caratteristiche ed i segni di riconoscimento, illustrati da Chichibìo, sono quelli classici della "spalla di San Secondo": il maiale pesante da cui trae origine, la forma del salume, il codino – la "picaija" – di riconoscimento; ma anche la non menzionata "scusalèta", carta o straccio per mantenerne, per quanto empiricamente, l'umida morbidezza.

Chichibìo denuncia, del salume da lui gustato – si fa per dire – a Palasone, qualità organolettiche scadenti ed una stagionatura inadeguata. E si trattava di una semplice spalletta, senz'osso! Certamente discende da queste situazioni, da queste cause, l'uso della cottura della "spalla di San Secondo", cottura un tempo molte volte necessaria, a tempo debito, per non perdere il prodotto, cottura che tuttavia non può inficiare storia e tradizioni, sia essa "spalla di San Secondo"consumata nella forma più consueta, cotta, o desiderata – cosa di difficile produzione e reperimento – nella forma cruda, eccezionale se mai riesce a giungere a giusta maturazione con osso.

Spiace pur sempre notare, in tutta la vicenda recente, da parte di enti ed istituzioni (in primis il Consorzio del Culatello di Zibello e di conseguenza anche l'omonima Strada dei Sapori) il mancato recepimento delle norme che discendono dai decreti del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali in materia di censimento e tutela dei prodotti agroalimentari tradizionali. E l’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, già a partire dal 2001 (D.M. 8 maggio 2001 in G.U. n. 136 del 14.06.2001, s. o. n. 147), a seguito di determinazione n. 2002 del 13 marzo 2001 dell'Assessorato Agricoltura. Ambiente e Sviluppo Sostenibile della Regione Emilia Romagna su indicazione del Comune di San Secondo Parmense e della Provincia di Parma, ricomprende la "spalla di San Secondo, spalla cotta e spalla cruda, spala cota e crùda", solo con quella denominazione, nelle varianti cotta e cruda, pure con traduzione dialettale.

Per la tutela della "spalla di San Secondo" nel 2004 è stata costituita, a livello provinciale, l'associazione dei produttori, in piena sintonia con l'Amministrazione Comunale di San Secondo Parmense. Primo atto ufficiale è stato la richiesta, per il prodotto "spalla di San Secondo", del marchio IGP.

(Pier Luigi Poldi Allaj)

 
 
 
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